Le mafie nel mondo - Focus Afghanistan, viaggio nel cuore delle vie dell'oppio (Pt. 1)

“Quasi tutte le miserie del mondo sono causate dalle guerre. E quando le guerre sono finite, nessuno sa più che perché sono scoppiate.” Con queste sagge parole Ashley Wilkes commentava lo scoppio della guerra civile americana in Via col Vento e nessuna citazione appare più appropriata per dipingere la drammatica situazione in cui versa l'Afghanistan. Dilaniato da guerre fin dagli anni Settanta, stretto dalla morsa del narcotraffico e dei talebani, il Paese è oggi retto da un governo ancora fragile e occupato da forze internazionali che faticano a combattere l'economia sommersa dell'oppio, problema spesso dimenticato dai media occidentali, ma che appare sempre più come il nodo principale da sciogliere per dare un futuro al Paese e per accrescere la sicurezza internazionale.

QUALCHE DATO - Qualche dato può aiutare a dipingere con efficacia tratti e dimensioni del fenomeno del narcotraffico. L'Afghanistan è il primo produttore mondiale di oppio, con una percentuale che oggi è contenuta tra l'80% e il 90%, inoltre fornisce al mercato globale il 90% di eroina, l'oppioide più comune che si ottiene attraverso una semplice trasformazione chimica dell'oppio grezzo. Nel 2010 nello Stato sono  state prodotte 3.600 tonnellate di oppio su un'area di coltivazione che si estende per 123.000 ettari. Si stima che oggi circa 250.000 famiglie afghane siano coinvolte nella coltivazione dei papaveri e nel 2008 il totale dei proventi dei coltivatori si aggirava intorno ai 732 milioni di dollari, pari a circa il 7% del PIL afghano. Nel 2007 gli introiti derivanti dall'esportazione dell'oppio ammontavano invece a 4 miliardi di dollari, il 53% del PIL, mentre nel 2010 il commercio di droga costituiva circa il 30% del prodotto interno lordo.
L'Afghanistan Opium Survey curata nel 2008 dall'UNODC, l'organo delle Nazioni Unite che si occupa della lotta mondiale contro la droga, ha rilevato che rispetto al 2007 si è verificato in Afghanistan un calo della produzione di oppio, con una contrazione del 19% della superficie dedita alla coltivazione dei papaveri, una diminuzione vera e propria della produzione del 6% e un aumento delle province cosiddette “poppy free”, ossia libere dai campi di papaveri, che sono passate dalle 13 del 2007 alle 18 del 2008, su un totale di 34. Gli studi più recenti dell'UNODC, risalenti al 2010, ribadiscono che la produzione di oppio è  diminuita del 48% rispetto all'anno precedente. Questi dati ottimistici non devono però trarre in inganno. Se è indubbio infatti che una parte del merito sia da ricondurre all'impegno del governo afghano, delle autorità locali e delle organizzazioni internazionali che dal 2001 lottano quotidianamente contro questa economia sommersa, è anche necessario tenere conto che al calo della produzione si è accompagnato un aumento della produttività del 15% e una diminuzione delle dimensioni delle capsule di oppio in circolazione. Una serie di condizioni atmosferiche poco favorevoli ha poi colpito generalmente tutta la produzione agricola del Paese (anche se il papavero è una pianta particolarmente adatta alla siccità). Non bisogna poi dimenticare la congiuntura economica globale: l'aumento del prezzo del frumento dovuto alla crisi alimentare mondiale ha indotto molti coltivatori a dedicare più spazio alla produzione di questo cereale, inoltre la quantità di oppio offerta sul mercato supera quella effettivamente domandata, dunque sotto questo punto di vista una contrazione della produzione è da considerarsi come un fenomeno squisitamente fisiologico. Le dinamiche legate al circuito della droga continuano insomma a fare da padrone in questo martoriato Paese.

POVERTA' E FAME: UN'ECONOMIA DISASTRATA- Una serie di dati elaborati dalla Banca Mondiale nel 2010 dipinge per il Paese afghano (dopo ben  nove anni di presenza della comunità internazionale, si tenga presente) una situazione economica e sociale quanto mai desolante. Il reddito pro-capite si attesta a 370 dollari all'anno rispetto a una media dei Paesi a basso reddito  di 524 dollari, la speranza di vita alla nascita è di 44 anni rispetto ai 59 degli altri Stati sottosviluppati, la mortalità infantile è del 16,5% e la malnutrizione colpisce 33 bambini su 100 sotto i cinque anni di età. In questo quadro drammatico di povertà, arretratezza e mancanza di futuro per i giovani, come spesso accade per le terre interessate da fenomeni di criminalità organizzata, la coltivazione dei papaveri costituisce al tempo stesso l'unica fonte di sostentamento per le famiglie e il cappio al collo che strangola il Paese nella morsa dell'insicurezza e della corruzione. La produzione di papaveri si concentra nelle zone a sud-est del Paese, da dove proviene circa il 97% dell'oppio afghano, e in particolare nelle sette province di Helmand, Kandhar, Uruzgan, Zabul, Farah, Nimroz e Day Kundi. Secondo l'UNODC, Helmand forniva nel 2008 il 66% del totale degli oppiacei provenienti dall'Afghanistan: qui dal 2002 al 2008 la produzione è addirittura triplicata e si è verificata un'espansione della superficie coltivata a papaveri. Secondo l'Afghan Opium Survey del 2010, rispetto alla produzione totale la percentuale di Helmand è scesa al 53%, mentre quella di Kandhar si aggira intorno al 21%.

PAPAVERO PER SOPRAVVIVERE- Tre sono le categorie sociali interessate dall'economia dell'oppio: i contadini poveri, i proprietari terrieri e i commercianti, e la rete della criminalità organizzata e dei trafficanti internazionali, all'interno del quale possono essere inclusi i talebani.
Per le povere famiglie contadine la coltivazione del papavero costituisce spesso l'unica forma di sostentamento, l'unica garanzia di sopravvivenza per l'inverno, poiché presenta alcuni  importantissimi incentivi. Innanzitutto l'aumento del prezzo dell'oppio sul mercato mondiale (più del 250% tra aprile 2009 e aprile 2011), ha fatto salire il reddito dei contadini afghani dai 438 milioni di dollari del 2009 ai 604 milioni di dollari del 2010. Briciole, si intende, rispetto ai faraonici guadagni dello smercio dell'oppio, che raggiungono l'1,8 bilioni di dollari, ma per i contadini ciò che conta è sopravvivere. E per sopravvivere, in Afghanistan è certamente più conveniente produrre papaveri da oppio: non solo richiedono minime cure e scarsa irrigazione, rendendosi dunque particolarmente adatti alla superficie montuosa e desertica del Paese, ma permettono anche di guadagnare circa dodici volte quanto si guadagnerebbe dalla coltivazione di qualsiasi altra pianta. In base a indagini UNODC del 2010, il prezzo dell'oppio secco è di 80,23 dollari al chilogrammo e di quello fresco di 53,66 dollari al chilogrammo, mentre un chilo di grano viene pagato 0,34 dollari, un chilo di mais 0,2 dollari e un chilo di riso 1,03 dollari.
I sistemi di finanziamento anticipato introdotti da proprietari terrieri e trafficanti riduce inoltre per i contadini i rischi economici legati alla produzione: i proprietari di terre spesso concedono ai contadini degli appezzamenti da coltivare a oppio oppure più spesso commercianti e trafficanti forniscono agli agricoltori un anticipo in denaro sul raccolto atteso. I talebani sono soliti trattenere il 10% del raccolto dei produttori che in cambio si vedono concedere sicurezza e protezione nello smercio.

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Commenti: 1
  • #1

    u=19083 (giovedì, 25 aprile 2013 09:31)

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